Sei proprio sicuro di voler fare l’imprenditore?

Ultimamente si leggono spesso sui giornali notizie di imprenditori che si sono tolti la vita, perché non sono stati in grado di reggere la vergogna del fallimento della propria impresa.

Da gennaio a maggio 2020 sono già stati 42 i suicidi, di cui 25 quelli registrati durante le settimane del lockdown forzato per il Covid, e 16 nel solo mese di aprile. A questi numeri, già molto preoccupanti e drammatici, vanno poi aggiunti anche quelli relativi ai tentati suicidi: 36 da inizio anno, 21 nelle sole settimane di lockdown. (fonte il Messaggero)

Si tratta di situazioni tragiche che colpiscono profondamente le famiglie.

Chi resta, oltre ad affrontare il dolore del lutto deve anche affrontare una situazione economica molto difficile, lasciata in eredità. Un dramma sul dramma.

 

Tutto questo mi fa pensare con nostalgia ai tempi felici della mia adolescenza, nei quali sembrava ci fosse ricchezza disponibile per tutti, e che tutti potessero fare gli imprenditori, in un mercato drogato da una spesa pubblica incontrollata.

Dall’inizio del terzo millennio le cose sono inziate a cambiare velocemente, e sempre più aziende si sono trovate a scontrarsi con la realtà della crisi economica. Una forte impennata dei fallimenti in continua crescita si è registrata in Italia tra il 2009 e il 2017, mentre una lieve flessione si era avuta negli ultimi 2 anni.

Spesso anche al bar si sentono le persone disquisire amabilmente  sulle cause di questi fallimeti. Come avviene sempre in Italia, appena si legge una notizia sul giornale o appena la televisione parla di un qualche argomento per oltre un giorno, diventiamo tutti immediatamente degli esperti in materia.

Ti sarai accorto ad esempio cosa accade con il calcio, amato sport nazionale (ma in generale anche con tutti gli altri sport…)

Succede che dal divano di casa siamo tutti grandi allenatori e geniali strateghi, anche se l’ultimo calcio ad un pallone lo abbiamo dato durante la ricreazione alle scuole elementari, 40 anni or sono…

Noi Italiani siamo fatti così… dobbiamo dire la nostra su ogni cosa, pur senza cognizione di causa. Siamo anche scienziati, chef di alta cucina, economisti, legislatori… e chi più ne ha, più ne metta.

Riguardo ai fallimenti delle imprese, le motivazioni più gettonate e gli argomenti più dibattuti sono il calo dei consumi, le tasse troppo alte, la burocrazia soffocante, la competizione straneira, il governo ladro, e altre… Che per carità… in parte sono anche cose vere… ma non del tutto.

Sta di fatto che i fallimeti hanno raggiunto livelli molto elevati specialmente negli ultimi anni, e uno studio effettuato da ITC Research ha rivelato che le 10 cause reali più importanti dietro a questo problema sono:

  • 21%: Insolvenze dei clienti
  • 11%: Magazzini sovradimensionati
  • 11%: Problematiche finanziarie
  • 10%: Costi troppo elevati del personale
  • 10%: Morte o malattia dell’imprenditore
  • 10%: Cattiva amministrazione
  •   9%: Azioni disoneste o sleali di cui l’azienda è vittima
  •   8%: Espropri, trasferimenti, decentralizzazioni
  •   8%: Diminuzione del fatturato dovuta alla cattiva congiuntura economica
  •   6%: Cattiva organizzazione dell’azienda

Quindi guardando bene, non ci sono solo cause esterne, dove sembra che l’imprenditore non abbia mai nessuna responsabilità, e che i fallimenti arrivino tra capo e collo come una punizione divina…

In realtà sembra proprio che sia vero il contrario, e cioè che nella maggior parte dei casi le ragioni del fallimento siano proprio di natura interna.

Oltre 2 volte su 10 il motivo è, in particolare, l’insolvenza dei clienti, e quindi all’incapacità di recuperare i propri crediti. Certo non si fallisce per un mancato pagamento, ma quando gli insoluti vengono dimenticati dopo la rabbia iniziale e si accumulano anno dopo anno raggingendo percentuali importanti del proprio fatturato.

 

Lo ripeto ormai da molti anni, ma senz’altro non è mai abbastanza, e continuerò a farlo finchè avrò voce o la forza per scriverlo:

“I mancati pagamenti sono un campanello d’allarme da non sottovalutare”

Significa che qualcosa è andato storto all’interno dell’intero processo di vendita, e quindi non si è concluso con il normale pagamento della fattura.

Diciamo che, mediamente, una percentuale non superiore al 2% del fatturato che si trasforma in insoluti può essere considerata fisiologica. Tutto quello che eccede il 2% invece può essere il segnale di un problema molto più serio serio, e che quantomeno va indagato.

Continuo a dirlo, e a ripeterlo, ma trovo ancora imprenditori che hanno accantonato insoluti per anni, e messi tutti assieme coprono il 20-30% del fatturato.

Sono lì, buttati in un cassetto oppure a riempire le pagine dei faldoni… Poi quando arrivano i miei funzionari, e valutano la situazione, si sentono anche rispondere che ci devono pensare… che devono prima scremare le pratiche, che ci vuole tempo, o altre scuse di questo tipo…

Forse non ci siamo capiti… Non c’è niente da scremare e non c’è niente da aspettare. Bisogna agire in fretta e devi lasciarlo fare a dei professionisti. La situazione è delicata e va affrontata con priorità massima e in tempo zero…

Gli insoluti non sono uno scherzo. E non sto parlando solo dei soldi che mancano nelle tue casse (che già sarebbero tanta roba…) ma anche delle motivazioni che hanno generato questi insoluti, e che possono nascondere dei problemi ancora più gravi.

 

Fare l’imprenditore oggi è un mestiere molto più complicato rispetto a quanto lo era anche solo 10 o 20 anni fa.

Le abitudini che andavano bene a quel tempo, o ancora peggio ai tempi di tuo padre o di tuo nonno… non vanno più bene ora!

Il tessuto imprenditoriale italiano era (ed è) in buona parte creato da ex dipendenti che si sono staccati dall’azienda per la quale lavoravano, e si sono messi in proprio.

Il muratore ha aperto l’impresa edile. Il parrucchiere ha aperto il suo salone. Il meccanico ha aperto la sua officina… il cuoco ha aperto il suo ristorante, e così via…

Quindi, in sostanza non erano mai stati degli imprenditori, bensì al massimo dei bravi tecnici, e si sono poi riciclati al ruolo di imprenditori.

Il fatto purtroppo è che non esiste alcuna attinenza tra essere un bravo tecnico ed essere un bravo imprenditore.

Fare l’imprenditore significa progettare il modello di business da seguire (cioè ideare il sistema con il quale trovare i clienti, come arriveranno a comprare, come pagheranno, ecc…) e monitorare l’andamento economico per verficare che il modello di business sia efficace e profittevole (altrimenti va cambiato). Insomma deve occuparsi della parte strategica e di controllo, e delegare quella operativa. 

Se ami cucinare non dovresti aprire un ristorante. Dovresti fare il cuoco da qualche parte, alle dipendenze di qualcuno.

Se ami sporcarti le mani di grasso e ripare le macchine, non dovresti fare l’imprenditore ma il MECCANICO.

Sicuramente appena aperta l’attività, l’imprenditore è quello che fa tutto, dalla produzione, alla contabilità, al commerciale, al marketing e anche le pulizie…

Questo perché all’inizio non ci sono tendenzialmente grandi budget (almeno di solito) e una persona si trova a dover assolvere tutti i ruoli. Ma l’idea, già a breve-medio periodo, dovrebbe essere quella di delagare tutti quei compiti e conservare solo quelli strategici.

 

Invece mooooolto spesso, perdura l’insana idea dell’imprenditore di continuare ad accentrare in sè la maggior parte delle attività, comprese quelle operative (perché pensa che come le fa lui non le fa nessuno) e fa enorme fatica a delegare, anche quando le dimensioni ed i fatturati aziendali hanno raggiunto ormai risultati importanti.

Il vero grosso problema è che nella maggior parte dei casi all’interno del tessuto imprenditoriale italiano manca una reale cultura imprenditoriale.

Gli imprenditori non sanno esattamente qual è il loro compito principale, e cosa devono effettivamente fare per far crescere la propria azienda. Così continuano a concentrarsi su tutto, compreso il carico e lo scarico del magazzino con il muletto.

Come dicevo prima, la maggior parte delle aziende nostro Paese è nata da operai o tecnici che si sono staccati dall’azienda precedente, per crearne una nuova tutta loro. Hanno cercato di copiare il prodotto/servizio precedente, e magari di venderlo ad un prezzo più basso, ai clienti rubati alla vecchia azienda. Tutta la geniale strategia era: “Il mio prodotto è unguale al suo ma costa meno”.

Fintanto che in Italia era tutto da ricostruire, e c’era bisogno di qualsiasi cosa,  e fintanto che la domanda era superiore all’offerta, ogni strategia (anche quella più strampalata) andava bene!

Bastava avere i soldi per aprire il capannone o il negozio, e la roba si vendeva da sola.

Oggi invece le cose funzionano in maniera molto diversa. La concorrenza è agguerrita ed è anche moto più estesa, perché con un solo click è possibile acquistare prodotti o servizi da qualsiasi angolo del mondo.

Ora per fare impresa ci vogliono le palle, la capacità di distinguersi dalla massa,  e tanta conoscenza specifica. Altrimenti il mercato ti mangia in un boccone.

E non è che adesso c’è la crisi… è solo che ora operiamo in un mercato non drogato, come invece lo era quello italiano fino a 15-20 anni fa. Adesso avere il prodotto/servizio non è più sufficiente.

Occorre anche sapere esattamente come attrarre i potenziali clienti (che non comprano più da soli nell’unica bottega del paese), come vendere loro, e come farsi pagare.

Servono strategie precise e funzionanti per questo.

L’improvvisazione ed il fai-da-te non sono più praticabili, perché i tempi per sbagliare e correggersi non esistono praticamente più. Tutto è diventato estremamente più veloce e non hai più la possibilità di metterti a testare perché nel frattempo un tuo concorrente dall’altra parte del pianeta può già averti fatto le scarpe.

Adesso, concluso il lock down imposto dal coronavirus, lo vediamo in maniera molto evidente. Sono bastati 2 mesi di chiusura forzata delle attività, e tanti imprenditori non sanno neanche se riusciranno a riaprire.

 

>>Quando le cose vanno bene, nessuno pensa a come mettere in sicurezza l’azienda per permetterle di continuare a navigare tranquillamente anche se il mare dovesse trovarsi inaspettatamente in burrasca.<<

 

Come sarebbe se ora tu avessi già in cassa quei 30-40-50 mila euro di fatture insolute che continui a portarti dietro da anni?

Quando tutto va bene si pensa sempre che c’è tempo… tanto la prescrizione dura normalmente 10 anni.

Nelle pieghe dei bilanci aziendali si nascondono spesso dei veri e propri tesoretti che gli imprenditori si dimenticano, e a cui inspiegabilmente danno scarso peso. Gli insoluti fanno male il primo mese, il secondo… poi ci si scorda… e non vengono più considerati una cosa così importante, o di cui occuparsi immediatamente.

Bene, il mio consiglio, se non lo hai già fatto, è quello di iniziare ad installare nella tua azienda il Metodo Recupero Crediti Vincente, che interviene in maniera sistematica ed immediata per recuperarare il tuo denaro, (senza lasciar passare anni) e per mantenere attivo e fluido il tuo flusso di cassa. 

Questo vuol dire pensare al benessere della tua azienda, e volendo ti può anche consentire di creare una riserva di denaro a cui attingere in caso di difficoltà, anche quando ti ritrovi a dover pagare una montagna di soldi in tasse, ma il cassetto della tua azienda è “inspiegabimente” vuoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Posto che questo tipo di tragedie mi fanno veramente impazzire, mi portano anche alla memoria gli anni apparentemente felici e spensierati nei quali sono cresciuto e nei quali, grazie a una congiuntura economica a base di spesa pubblica incontrollata e quindi irripetibile, sembrava che tutti potessero essere imprenditori e il denaro non finire mai.

Poi crescendo sono arrivati gli anni della “crisi” e i quotidiani si sono accorti delle vere e proprie tragedie umane scatenate dai fallimenti imprenditoriali di aziende che un tempo sembravano essere destinate a prosperare per sempre.

La colpa di questa situazione, di questa “crisi” dell’imprenditoria, di questa recessione viene sempre e con facilità attribuita a cause esterne agli imprenditori. Si parla sempre di calo dei consumi, delle tasse, di questioni macroeconomiche, della burocrazia asfissiante, della competizione scorretta di nazioni straniere che producono a basso costo, della carenza di domanda nazionale interna, ecc.

In parte, per carità, si ha anche ragione, ma non completamente. Anzi, il punto di vista che caratterizza tutta la mia opera divulgativa nota come Metodo Merenda ha molto da dire al riguardo.

Posto che vi sono Stati dove il fare impresa è oggettivamente meno disturbato da tassazione iniqua, burocrazia, mala gestione pubblica ecc. e che questi fattori vanno tenuti in considerazione con grandissima attenzione e a prescindere, esiste in realtà un’unica, vera ed enorme ragione per la quale la maggior parte delle piccole e medie imprese fallisce e pare proprio l’unico argomento dei quali i “media” tradizionali come giornali e televisione non vogliano parlare.

Probabilmente perché è un’idea difficile da accettare e richiede una presa di coscienza e un senso di responsabilità che sono poco vendibili come “notizie”.

Il punto focale sul quale concentrarsi è che la maggioranza delle aziende fallisce per il semplice motivo che non sono né fondate né gestite da imprenditori, ma da tecnici o operai estremamente bravi e specializzati che “si sono ritrovati” un’azienda da gestire sulle spalle.

Per capire meglio questo concetto, facciamo una rapida analisi cercando di capire non tanto dove si trovi l’imprenditore in un dato momento della sua azienda, ma analizziamolo invece PRIMA che abbia aperto la sua azienda.

Se prendiamo te ad esempio, dove ti trovavi prima di aprire la tua azienda? O dove ti trovi in questo momento se stai pensando di aprire la tua azienda o il tuo studio o la tua pratica?

Beh, se sei come la maggioranza dei piccoli imprenditori, è probabilissimo che prima di aprire la tua azienda tu stessi semplicemente lavorando per qualcun altro.

Probabilmente lavoravi come meccanico, come parrucchiere, come estetista, come dentista, come praticante avvocato, come agente di commercio, come commercialista, come commesso, come barista, come cameriere o cuoco ecc.

Qualunque cosa tu stessi facendo possiamo semplificare dicendo che ti stavi occupando di un lavoro prettamente tecnico, che derivava da conoscenze e abilitazioni di stampo accademico o semplicemente come apprendistato sul campo.

Un avvocato è un tecnico. È un tecnico delle leggi. Come un muratore è un tecnico dei mattoni, della malta e del filo a piombo. Come un commercialista è un tecnico dei numeri finanziari di un’azienda e di adempimenti fiscali. Come un parrucchiere è un tecnico dei capelli delle proprie clienti.

Poi un bel giorno ti è successo qualcosa di straordinario e improvviso. Magari ti sei messo con una ragazza o un ragazzo che ti ha detto che tu vali molto di più di quello che stai facendo o che stai guadagnando oggi.

Magari ti sei svegliato il giorno del tuo compleanno con un’incredibile e rinnovata voglia di fare e pensare in grande.

Magari al lavoro i colleghi non ti hanno apprezzato come avresti voluto e ti hanno da sempre lasciato un sacco di lavoro da fare del quale poi magari si prendevano pure i meriti.

Magari il “capo” non ti paga come sentiresti di meritare e non ti ringrazia abbastanza per il tuo contributo all’azienda.

Non è importante nello specifico cosa ti sia scattato, ma qualcosa, una molla, una scintilla, un evento irrefrenabile si è mosso dentro di te e ti ha portato questa voglia inarrestabile di diventare “imprenditore di te stesso” e da quel momento in avanti, la tua vita  è cambiata per sempre.

La tua mente ha cominciato a riempirsi di domande alle quali man mano sei stato costretto a dare una risposta soddisfacente. Domande del tipo: “Ma io che ci faccio qui?” O “Ma perché sto lavorando per questo tizio?” O “Ma come mai spreco il mio tempo con questa gente?” O ancora “Come mai uno come me si sta accontentando di questa paga da fame con tutto il talento che mi ritrovo?” ecc.

Mano a mano la tua autostima ha cominciato a nutrirsi di questi pensieri come una sanguisuga impazzita e il tuo desiderio di indipendenza e di spiccare il volo da solo è diventato sempre più forte fino a divenire inarrestabile.

L’idea di non dover più dipendere da nessuno, di non dover più prendere ordini da nessuno, di poter gestire il tuo tempo come meglio credi, di fare le cose alla tua maniera diventa ben presto irresistibile e senza quasi che tu te ne renda conto, ti ritrovi dalla sera alla mattina alla “Grande Inaugurazione” della tua nuova attività dove “finalmente il capo sei tu”.

Le cose accadono così velocemente che non hai veramente il tempo di riflettere su tutte le implicazioni negative che sono possibili, plausibili o dovrei dire anche inevitabili del diventare imprenditore se arrivi da un percorso da tecnico.

È un po’ come quando sei innamorato di qualcuno: l’idea dello stare insieme ti porta a vedere solamente i lati positivi dell’altra persona impedendoti di vedere chiaramente che i potenziali lati negativi ci sono e verranno prepotentemente a galla non appena la parte iniziale di infatuazione svanirà.

Esiste quindi una grande e scomoda verità che viene sottovalutata da tutti i tecnici che si buttano a fare gli imprenditori e che si riassume in una convinzione non solo assolutamente ottimistica ma anzi, assolutamente sbagliata.

Questa convinzione è riassumibile con:

“Credere che poiché tu comprendi e padroneggi gli aspetti tecnici di un’impresa, tu capisca come si gestisce un’impresa

che ha a che fare con quel lavoro tecnico”

Per quanto brutale, non è realmente più difficile di così. Anzi, è esattamente così.

Essere un bravo cuoco o un bravo cameriere non ha nulla a che vedere con il come si gestisce e si porta al successo un ristorante.

Essere un bravo agente di commercio che rivende prodotti di una data azienda o in un dato settore, non ha nulla a che vedere con il come si gestisce un’impresa in quel settore.

Essere bravissimo nel proprio lavoro di parrucchiere o estetista e ricevere complimenti dalla clientela affezionata per la propria abilità e gentilezza, non ha nulla a che vedere con il come si gestisca un salone di parrucchiere o un centro estetico.

Essere un bravo meccanico non ha nulla a che vedere con il come si gestisce e si porta al successo un’auto-officina.

Essere un bravo avvocato e un grande conoscitore delle leggi compreso il possedere una ottima retorica in tribunale, non ha nulla a che vedere sul il successo di uno studio legale.

Essere abilitato alla pratica di dottore commercialista e rimanere sempre aggiornato sulle mutevoli leggi fiscali italiane con rigore e precisione, non ha nulla a che vedere con la capacità di gestire uno studio associato o un’attività da commercialista.

Potrei andare avanti per ore citando ogni possibile settore, business, attività imprenditoriale o professione da libero professionista.

Il concetto non cambierebbe di una virgola.

Ma i tecnici ogni singola volta non riescono a capire in tempo questo concetto e condannano la loro azienda al fallimento o comunque a rimanere piccola, sottodimensionata, strozzata e più fonte di dispiacere che di piacere, guadagno e realizzazione personale e professionale.

Il problema alla base della mentalità di un tecnico infatti è che egli non vede l’impresa come un’azienda, cioè un sistema complesso di funzioni, ruoli e compiti ma come un semplice posto dove andare a lavorare, magari senza dipendere da nessuno.

Ma l’azienda non è un posto di lavoro. Anzi, pensare in questa maniera è ciò che rende vani tutti i tentativi di “lavorare senza padroni e fare le cose a modo mio”.

Questo perché il piano originale del tecnico che sta per diventare imprenditore, cioè “guadagnare grazie alla mia passione e alla mia bravura, facendo quello che mi piace senza dover prendere ordini da nessuno e potendomi tenere tutti i guadagni per me” finisce per schiantarsi contro la realtà alla velocità di un treno lanciato a tutta fornace contro una montagna di cemento.

La convinzione per la quale, se sei bravo a svolgere la componente tecnica di un business, saprai anche gestire quel business, porterà l’aspirante imprenditore a rimanere intrappolato e vittima proprio di quella situazione dalla quale cercava di scappare.

Per assurdo, essere quello bravo a svolgere il lavoro tecnico in azienda ti imprigiona ancora di più e ti porta all’essere soggetto sempre e in prima persona al dover risolvere ogni singola cosa all’interno dell’azienda.

Infatti, se tu non fossi stato il tecnico in azienda, avresti velocemente dovuto trovare un modo per eseguire il lavoro. Lo avresti fatto magari prendendo un socio, magari assumendo persone, magari automatizzando alcuni processi, non importa come in questo preciso momento.

In ogni caso avresti imparato velocemente come fare l’imprenditore, cioè far funzionare le cose in azienda invece di “farle” come “capotecnico” in prima persona.

Ma la tua conclusione iniziale ti incatena come una enorme palla al piede quasi da subito, perché da subito ti rendi conto che il lavoro che tanto amavi fare e che ti faceva sentire tanto contento e orgoglioso, improvvisamente viene letteralmente “sommerso” da una valanga di altri lavori nei quali sei assolutamente impreparato. Sei uno zero, o anche meno.

Ti rendi conto che devi andare a negoziare flussi e affidamenti in banca, cosa che prima non facevi.

Ti rendi conto che devi gestire il personale, che per quanto fossero stronzi i colleghi imposti che avevi prima, almeno se li gestiva qualcun altro.

Ti rendi conto che devi imparare a gestire il conto economico e il flusso finanziario dell’azienda, che prima non facevi perché percepivi uno stipendio o comunque un compenso in p.iva ma con modalità iper-semplificate di gestione.

Ti rendi conto che devi negoziare con i fornitori. Cosa che prima non facevi.

Ti rendi conto che devi bestemmiare dietro ai fornitori che non ti consegnano le cose in tempo, cosa che prima non dovevi fare tu.

Ti rendi conto che anche se il tuo vecchio titolare non faceva marketing perché magari aveva aperto in anni d’oro e con il passaparola si era comunque costruito una sua base di clientela, oggi tu devi imparare a fare marketing o i clienti non li porta la cicogna.

Ti rendi conto che l’azienda, per poche che siano all’inizio, ha bisogno di tutta una serie di infrastrutture tecnologiche delle quali non ti sei mai occupato, e che oggi gravano invece sulla tua schiena.

Ti rendi conto che i soldi non si materializzano da soli nel conto corrente e che serve qualcuno che oltre a saper svolgere tecnicamente il lavoro, sappia “chiudere i contratti”, oppure non si mangia. E anche di questo non ti sei mai occupato.

Ti rendi conto che devi star dietro a una serie infinita e pressoché costante di adempimenti burocratici anche solo per poter alzare la serranda che una volta non sapevi nemmeno esistessero.

Potrei andare avanti così per ore. Solo per descriverti come il tuo sogno di libertà, indipendenza e “tenerti tutti i soldi per te” sia diventato invece un incubo dalla sera alla mattina.

Hai speso tutto quello che avevi per prendere la sede migliore che potevi permetterti, le attrezzature migliori, gli arredamenti migliori, i materiali migliori ecc. E ora ti ritrovi con un conto in rosso perché hai speso tutto quello che avevi e anche di più solo per aprire la tua attività, sei pieno di debiti nei confronti di banche, genitori, investitori ecc. Stai già lavorando oltre orari che siano umanamente possibili e non vedi nessuna luce alla fine del tunnel.

Non riuscire a capire in profondità e soprattutto non riuscire ad apprezzare la differenza tra una mentalità da tecnico e una mentalità imprenditoriale è la ragione fondamentale per la quale chiunque apra una sua attività si sta avviando verso una catastrofe quasi certa.

Cerchiamo quindi di analizzare meglio le differenze tra queste due prospettive differenti, il punto di vista del tecnico o operaio specializzato e il punto di vista del vero imprenditore.

Il tecnico crea una struttura che dipende da lui, che viene costruita intorno alle sue competenze e intorno alle sue abilità e le sue preferenze in particolare.

Di base non sta creando una vera e propria azienda. Si sta solo comprando un posto di lavoro, nel quale il capo è la persona probabilmente peggiore del mondo: lui stesso.

Un capo che vuole dirigere, vuole mettere bocca, vuole comandare ma che in realtà non sa NULLA di come si gestisca un’azienda, di come si gestisca la contabilità, di come si analizzi un bilancio, di come si faccia marketing, di come ci si debba posizionare sul mercato, di quali infrastrutture tecnologiche siano necessarie, di come si vendano davvero alle migliori condizioni possibili i propri prodotti o servizi.

Avete presente quanto odiavate il vostro ex capo che voleva fare le cose a modo suo e vi dava l’idea di non capire un cappero di nulla? Ecco, voi sarete la sua fotocopia. Forse in peggio.

Una vita passata da dipendente di sé stesso e non da imprenditore per poi ritrovarsi a non poter mai cedere o vendere l’attività poiché appunto l’attività stessa non esiste ma dipende al 100% dalle abilità e dalla presenza del fondatore.

Attività che nella migliore delle ipotesi potrà essere passata a un figlio remissivo desideroso di ripercorrere passo passo le orme dei genitori oppure che verrà chiusa in perdita e basta, senza possibilità di capitalizzare nulla degli anni passati a lavorare e a investire.

Dall’altro lato, l’imprenditore costruisce un’azienda che lo libera il più velocemente possibile dal lavoro tecnico e lo pone in quella posizione nella quale la crescita della sua creatura dipende da lui e dalla sua abilità e voglia di raggiungere sempre nuovi traguardi.

Un imprenditore non apre l’attività per non lavorare per altri, sistemare la famiglia ristretta e pagarsi uno stipendio e qualche sfizio senza troppi grilli per la testa come un tecnico.

No, l’imprenditore apre la sua azienda per ottenere tutto il successo possibile. Un’azienda gestita da un vero imprenditore, teoricamente non ha limiti.

Non ha limiti perché un imprenditore non è un tecnico, anche se in origine probabilmente nasce come tale. No, un imprenditore è un tecnico che si sforza di cambiare pelle il più velocemente possibile e raggiungere uno stato che prima non riusciva nemmeno ad immaginare.

Il tecnico è il bruco. L’imprenditore è la farfalla alla fine del processo. Affinché la farfalla possa nascere però il bruco deve “morire”. Deve accettare di imbozzolarsi per un periodo di tempo fino al rinascere come un essere completamente diverso.

Un bruco non può diventare farfalla semplicemente “facendo il bruco” più a lungo, più duramente, con più passione, per più ore, saltando le ferie, con più intensità ecc.

Per diventare farfalla deve invece proprio “rinunciare a fare il bruco” ed abbracciare la sua nuova identità.

Il bruco è il tecnico. La farfalla è l’imprenditore: l’esperto di marketing che sa prendere decisioni strategiche leggendo il bilancio.

Sono due stati completamente incompatibili e nemmeno similari. L’imprenditore è un esperto di marketing e dei numeri che decide quali mercati aggredire, come aggredirli, come combattere la concorrenza in primis.

Poi con i profitti e con il ricavato, decide come investire quel denaro per espandere gli asset dell’azienda per renderla sempre più solida, grande e potente.

Significa che a differenza del tecnico che fa soldi per pagare il suo stile di vita e i suoi sfizi in primis con il mantra da folle “paga prima te stesso”, l’imprenditore pianifica di far uscire ogni singolo centesimo che entra in azienda per acquisire asset, quindi talenti, persone di valore, nonché macchinari, strumenti, ricerca e sviluppo, formazione, spazi lavorativi e tutto ciò che è strumentale alla crescita e al consolidamento dell’azienda.

Alla fine del processo, l’imprenditore avrà tutta una serie di asset da rivendere sul mercato, brand compreso, che lo ripagheranno dei lunghi anni di sforzi e di lavoro duro che ha fatto per creare un’azienda da zero.

Il tecnico invece rimarrà con un pugno di mosche in mano.

Più passano gli anni, più l’imprenditore investe in infrastrutture, tecnologia, processi, formazione e persone, più l’azienda non solo crescerà ma pian piano andrà in una direzione verso la quale sempre più settori e reparti si “autogestiscono” in mano a responsabili capaci.

È questo processo che interessa all’imprenditore. Un processo che richiede anni se l’azienda parte da zero, non accade certo dalla sera alla mattina, ma che senza dubbio accade.

Il tecnico invece è interessato a comandare, a supervisionare, a controllare, a fare micro-management di ogni cosa nel terrore e nella convinzione di essere l’unico essere intelligente sulla terra, che non ci si possa fidare di nessuno e che i collaboratori capaci non si trovano e alla fine la gente fa solo casini.

L’imprenditore in poche parole, pur partendo da zero, in una decina di anni, prudenzialmente parlando, diviene “libero” a tutti gli effetti.

È libero perché ha potenzialità davanti che sono infinite come ad esempio:

  • Vendere la propria azienda e capitalizzare.
  • Tenersi la propria azienda dandola completamente in gestione senza lavorarci.
  • Vendere l’azienda e usare ciò che ha imparato per aprirne altre in altri settori.
  • Tenersi l’azienda e continuare a gestirla per farla espandere al limite delle sue capacità in un gioco a scacchi infinito con il mercato.
  • ecc.

Il tecnico non è affatto libero perché non ha nessuna possibilità davanti che non sia quella di continuare a lavorare fino alla fine dei suoi giorni, o sperare di aver accumulato abbastanza ricchezze durante i suoi anni di lavoro da potersi permettere di “stare in pensione” senza troppi scossoni al proprio stile di vita.

Il tecnico ha altre strategie davanti che possono essere:

  • Mettersi a delinquere per guadagnare di più con mezzi illeciti;
  • Ereditare una importante somma di denaro;
  • Vincere una importante somma di denaro;
  • Sposarsi con chi possiede una importante forma di denaro.

In pratica un tecnico che si compra il suo posto di lavoro, non ha nessuna possibilità di diventare realmente libero più di quanto non l’abbia qualunque dipendente o disoccupato di questo mondo. Ma tutti gli sforzi che metterà all’interno dell’azienda saranno vani per il raggiungimento di quegli obiettivi.

In ogni caso e qualunque cosa decida di fare “da grande”, se tenersi l’azienda, venderla, aprirne altre, cambiare vita ecc. l’imprenditore avrà in ogni caso imparato come creare e far crescere un’azienda, avrà imparato a gestire, assumere, anche licenziare ma in generale a far crescere delle persone, avrà imparato a portare a mercato prodotti e servizi e a reinvestire i profitti per creare quelle infrastrutture tecniche e umane che gli hanno permesso di creare fonti di guadagno indipendenti dalla sua presenza fisica sul posto di lavoro.

Sia il tecnico che l’imprenditore investiranno anni della loro vita nella loro azienda ma a parità di investimento, il ritorno su quell’investimento sarà radicalmente differente.

L’imprenditore creerà Brico Center, una catena di negozi specializzati in articoli per la casa. E anni dopo la venderà diventando ricco o se la terrà facendola gestire in larga parte dai manager e controllandone la direzione.

Il tecnico creerà la mitica “Ferramenta da Gino”. Che si terrà fino alla fine dei suoi giorni e che chiuderà in perdita a meno che uno dei suoi figli non voglia portare avanti la “tradizione di famiglia”, posto che Amazon o simili non abbiano già distrutto quel micro-modello di business.

Il tecnico aprirà il suo negozio di giocattoli.

L’imprenditore creerà The Walt Disney Company.

Credo che tu abbia capito il concetto.

Ora, il problema qui non è nemmeno quello di voler creare necessariamente qualcosa di grande o avere manie di grandezza. Ci sono persone che sognano di avere un’azienda quotata in borsa e altre che hanno tutto sommato ambizioni più modeste o semplicemente differenti.

Non vorrei mandare quindi il messaggio sbagliato. Qui il punto non è affatto creare qualcosa di grande contro il rimanere piccolo.

La questione qui è completamente diversa, e cioè che, per quanto piccola tu voglia tenere la tua azienda, è SEMPRE possibile crearla, gestirla, farla funzionare e farla prosperare meglio di come farebbe una persona con un approccio da tecnico.

Certamente un’azienda deve avere una dimensione minima in termini di struttura per funzionare e non può nella maggioranza dei casi limitarsi ad avere meno di dieci persone.

Servono divisioni chiare dei ruoli, dei reparti, procedure e quindi servono persone che ricoprano i ruoli minimi di un’azienda al posto del “tecnico faccio tutto io”.

Ciò detto, raggiunta una massa critica minima di “persone e cose” che per ogni business è facilmente individuabile, la dimensione che dovrà avere l’azienda la deciderà la visione e l’ambizione dell’imprenditore.

Anche chi vuole gestire un’azienda tutto sommato piccola perché preferisce avere i suoi ritmi, i suoi tempi, uno stile di vita più tranquillo, orari definiti, tempo per “le sue cose” ecc., può avere una vita completamente differente, più “ricca” in tutti i sensi, meno stressante, più produttiva e più ricca di significato se solo sapesse dove guardare e cosa cercare, cioè la via dell’imprenditore.

E la via dell’imprenditore, cioè quella dell’esperto di marketing che sa leggere un bilancio e che il prima possibile si allontana dall’essere il perno tecnico dell’azienda per gestirla davvero come un imprenditore, non ha a che fare con il creare necessariamente una big company.

Non è necessario per forza pensare più in grande, o essere più ambizioso o pensare costantemente di dover desiderare di più o fare di più.

È vero, devo dirlo, che essere un leader ambizioso rende più semplice attrarre talenti più capaci, mantenere le persone allineate e disponibili all’azienda, ai progetti e avere un team più coeso e più produttivo.

Molta gente mi scrive “invidiandomi” il mio gruppo di lavoro, i miei collaboratori, la dedizione che ci mettono ecc. e mi chiedono come sia possibile che da me le persone ti rispondono anche a mezzanotte mentre i loro collaboratori alle cinque e mezza appoggiano la penna.

Il grosso del segreto del mio successo da questo punto di vista – che non è causale – è una sana ambizione inclusiva che coinvolge le persone e fa sentire loro di appartenere a qualcosa di importante e di più grande.

Le persone che sentono di non poter tenere il passo, spesso se ne vanno da sole. Alcune volte, devono essere “aiutate” ad andarsene e a trovare un’azienda nella quale non si sentano a disagio perché non riescono a impegnarsi quanto da noi è richiesto.

Dall’altra parte, persone che hanno un sogno vengono naturalmente attratte dal nostro ambiente di lavoro. Si integrano più facilmente, producono di più e con più qualità di quanto non facessero nelle aziende dove lavoravano prima e in generale la loro vita cambia decisamente in meglio, a prescindere dal ruolo che ricoprono in azienda.

Ma anche non avendo ambizioni di questo tipo, volendo ragionare “in piccolo”, c’è una differenza enorme tra lavorare come “capo tecnico” o “capo operaio” nella tua azienda e invece fare l’imprenditore che lavora come vero imprenditore nella sua azienda, occupandosi di creare sistemi e condizioni per le quali ogni reparto e settore ottenga i suoi obiettivi.

La prima cosa che serve a un’impresa non sono i tecnici, bensì un flusso di cassa positivo.

Per quanto a un bravo tecnico, che basa la propria immagine personale e sociale proprio sull’essere bravo tecnicamente questa cosa non vada giù, i bravi tecnici si trovano dando i calci ai cassonetti ai lati delle strade.

Sono gli imprenditori che non si trovano.

Non si trovano cioè gli esperti di marketing che sappiano leggere un bilancio.

Non si trovano le persone coraggiose capaci di sfuggire alla propria zona di confort nella quale si sentono forti e importanti perché “sono gli unici capaci a fare tecnicamente quel lavoro” per dedicarsi da zero a imparare davvero il lavoro dell’imprenditore.

Non si trovano quelle persone che vogliono tenere per forza le mani nel lavoro tecnico sperando che la web agency “gli trovi i clienti” e che il commercialista “sia quello che gli gestisce i conti dell’azienda”.

Servono più bruchi disposti a trasformarsi in farfalle. A lasciarsi la pelle morta e il vecchio involucro alle spalle, mentre pian piano escono dal bozzolo, dispiegano le ali e prendono il volo.

È per questo che ho creato il Merenda Monthly, l’unico mensile dedicato ai piccoli imprenditori che fanno grande l’Italia, che fornisce un piano step by step per passare da larva a splendida farfalla come Marketing Merenda.

Puoi abbonarti cliccando sul pulsante che trovi qui sotto.

Ti aspetto per iniziare con te questo processo di metamorfosi e portarti a realizzare quei sogni che da troppo tempo sono rimasti sigillati in quel cassetto polveroso.

Ci vediamo tra le pagine del magazine.

Frank

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